L’Accademia Officina d’Arte di corso Porta Borsari presenta fino al 15 giugno “Memorie di Futuro”, una personale di Vittorio Carradore, paesaggista veronese, i cui soggetti pittorici ripercorrono i panorami della Lessinia e dei piccoli centri urbani che la popolano. Particolarmente attratto dalle colline e dalla campagna, ma anche dalla natura morta, l’artista di San Bonifacio fonda il suo lavoro su un impianto pittorico ben definito, dove il disegno delinea con vigore l’immagine e la prospettiva. Su queste ferme strutture il colore si adagia, andando a coprire lo spazio bianco senza, tuttavia, divenire elemento riempitivo o semplicemente decorativo. I suoi paesaggi, di facile lettura e gradevoli allo sguardo, non intendono deformare ciò che l’occhio cattura e ferma nella realtà naturale, ma solo riferire la loro fresca e incontaminata autenticità. I quadri di Carradore sembrano essere delle incursioni visive in un mondo ancora tutto da scoprire, delle immagini colte con immediatezza e – come scriveva Mozambani – “immerse in un clima di chiarore e forse di sogno”. Quando si parla della sua pittura molti pensano a Gino Rossi, a Guido Trentini o addirittura ad Angelo Zamboni, ma in realtà pur egli avendo dei punti di riferimento pittorici irrinunciabili, sembra essersi creato una via espressiva del tutto autonoma, in cui si mescolano, ovviamente, le sue conoscenze e i suoi amori, ma dove nasce anche l’originale riconoscibilità di una personale matrice espressiva. “La delicatezza dei colori che privilegiano le variazioni tra l’azzurro e il verde, improntando i rapporti con la dolcezza di una luce stemperata, mai violenta” (F. Butturini), conferisce all’opera di Carradore un vigore espressivo animato più dall’armonia che dal contrasto dei colori, più della certezza del disegno che dalla sua inconfondibile traccia. Di un disegno, peraltro, che si pone come base fondamentale di una pagina pittorica che vuol essere fedele testimonianza di una natura che ancora sopravvive al tempo e all’uomo, di un paesaggio che non volgerà mai le spalle alla proprio, incorruttibile tradizione figurale.

 Giorgio Trevisan su l’Arena di Verona, giugno 1998