Ho conosciuto Vittorio Carradore circa cinque anni fa. Senza alcun indugio mi ha gentilmente invitato ad entrare nel suo studio, dove sono rimasto per più di due ore. Assicuro subito Lor Signori di non essere stato soffocato dalle sue chiacchiere.

Il Maestro mi è parso l’opposto di colui che vuole recitare a tutti i costi la parte del protagonista, in effetti, Vittorio si limitava a qualche timido intervento. Pochi mesi fa l’ho incontrato per la seconda volta in occasione di una sua “ personale” in una galleria di Verona. A lui, cinque anni non sono bastati per salire in cattedra. Il suo modo d’essere è rimasto tale e quale. Che è quello di un uomo semplice, generoso e modesto, seppur cosciente della validità della propria pennellata. Carradore è uno dei pochi, dei pochissimi, che ti lasciano dialogare con i suoi quadri; i quali parlano per lui del suo mondo paesano, che è rimasto il più genuino. Sono loro che ti svelano la sua autentica personalità, il suo profondo sentimento per la natura e per la vita. Intendo dire che la sua arte è il risultato di una poetica quasi ellenica, oggi scomparsa. Una cosa è certa: questi quadri dureranno in eterno perché mandano fuori un forte profumo di incantevoli paesaggi dove i rapporti dei colori sono dosati a puntino e i toni si fondono in un’armonia che non cambierà mai, perché eterna. Ciò che emerge “leggendo” le sue tele è che il nostro pittore sta all’origine della sua opera tanto quanto la sua opera sta all’origine del pittore. Neppure uno può fare a meno dell’altro. Per carità, nessuno dimentica la profonda influenza che ha esercitato il genio di Cèzanne su migliaia di giovani artisti. D’altra parte, è risaputo che tutti siamo debitori di qualcuno: da Piero della Francesca a Picasso, da Ovidio a Petrarca, da Vasari a Trevisan. Quello che importa è che ognuno di noi abbia “dentro” di sé un personale pizzico di creatività, di ingegno, di fantasia. Quello che conta è che le opere qui esposte possiedono la forza di portare alla luce la bellezza, senza falsi cerebralismi. Non è un gito di parole perché, da sempre, la verità spetta alla logica mentre la bellezza all’estetica. Lo scopo primario di Carradore sta nel dipingere il proprio mondo. Nel suo paesaggio l’energia del colore vibra di luce intensa. Il tessuto cromatico si compone di una rete di macchie colorate di verde, d’azzurro, di giallo; di bianco anche, nelle strade ancora da asfaltare.

Di quel bianco di cui oggi tanto poco si parla, a causa delle sue mille sfumature. A prima vista sembra che Carradore voglia costruire il quadro unicamente con il colore; ma non con quello che “inganna di continuo” come sostiene Josef Albers. Il nostro artista sa perfettamente conformarsi alle regole dell’armonia del colore e alla sua interazione che è la reciproca influenza fra un colore e un altro. Questo significa, mi pare, che nei suoi dipinti il colore è in grado di assumere importanza per se stesso, in modo tale da offrire un piacere estetico puro. Improvvisamente decido di non parlare della forma, di cui i colori sono il complemento. Perché Vittorio Carradore è stanco di sentirmi blaterare e perché io non ne sono all’altezza. E allora lasciamo vagare lo sguardo e la mente affinché possano allargare in santa pace le conoscenze sull’arte carradoriana. L’occhio e il cervello non avranno di che pentirsene.

di Emilio Pasetto