Su qualche strada bianca delle colline pedemontane venete è possibile incontrare Vittorio Carradore, pittore innamorato del paesaggio: dapprima lo disegna a matita, su tavolette di compensato, facendo attenzione al taglio compositivo, racchiudendo alberi, case, ondulazioni del terreno entro un disegno riassuntivo e nervoso, poi lo riempie di colore, talvolta debordando, qualche altra rispettando il limite del segno, sino a riempirlo tutto con pennellate brevi e trasparenti, date a tocco, anch’esse nervose, ma cariche di partecipazione.
Ne risulta una pittura festosa e piacevole, in cui è evidente l’affetto per la terra, per quelle cromie che solo la natura sa ispirare, ma, guardando più attentamente, ci si accorge che questa pittura non nasce solo dall’osservazione o dalla consuetudine del paesaggio, perché l’apparente semplicità dell’immagine è la derivazione ultima di una tradizione che vanta antenati illustri: si potrebbero citare, quali numi tutelari, Moggioli e Gino Rossi, Wolf Ferrari e Schiele, e tutti quegli artisti che hanno saputo trasfigurare il paesaggio, adattandolo a sé, al proprio sentimento, ma è fuori dubbio che anche Carradore si accosta alla natura con un animo semplice, come un bambino che gioca a fare il pittore e questo candore della pittura, questa lirica emozione hanno il potere della seduzione. Pensando al suo futuro, gli auguro di rimanere sempre bambino.

  Marcello Colusso, mostra presso la “Galleria Ponte Rosso” settembre 1999